Il velo di Maya
2022
120x60cm
foto d’autore su plexiglass lavorata con acrilico e tecnica mista
“L’uomo è meno sé stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità”.
(Oscar Wilde)
Ci sono mete, alle volte meno importanti del viaggio, ma che alle volte ci permettono di fermarci e riflettere prima ancora di proseguire. Ed è il caso de Il velo di Maya, una tappa che appartiene ad un viaggio molto complesso, che nasce dall’atto di voler contrastare quel malessere insito in ognuno, da sempre ed in tutte le epoche. Non poter essere sé stessi e tutte le sue versioni.
E allora ci si copre, ci si nasconde. L’opera, Il velo di Maya rappresenta la maschera che cela il mondo, che noi allo stesso modo dobbiamo indossare, continuamente per sopravvivere, che vogliamo indossare per sentirci liberi, divertirci, salvarci, nasconderci, per mostrare parti di noi che altrimenti rimarrebbero inespresse e inascoltate.
Il velo di Maya è il risultato di una ricerca che trova ispirazione tra i canali di Venezia, dove da sempre il concetto di libertà è stato associato all’indossare una maschera per celare la propria identità, per poter portare alla luce il proprio lato nascosto e viverlo in un ambiente protetto, ma tocca anche la cultura orientale e i Veda Indiani e ritorna a quella occidentale con Schopenhauer per condurci sempre all’oggi, in un momento in cui ancora non è sempre facile essere chi siamo.
L’opera, non solo nel suo racconto, ma anche nella sua fisicità ricalca questa complessità. È composta da una serie di layer che si sovrappongono, di “veli” che lasciano intravedere contemporaneamente la totalità umana. C’è quel brusio che accompagna ininterrottamente, il fare e l’essere, che proviene dall’interno, dai nostri costrutti, ma e soprattutto dall’esterno, dei “BlaBla” inutili e rumorosi, alcuni più potenti di altri: commenti e non confronti.
Poi ci siamo noi, le Persone – termine che proviene dal latino persōna (maschera) – che proviamo ad essere ciò che vorremmo, e vorremmo essere ciò che proviamo, ma è difficile, quasi sempre impossibile. E quindi indossiamo “maschere”, talmente nostre, come profondi tatuaggi, come circuiti stampati sulla nostra pelle.
Svincolati dagli stereotipi, dai bias e dalla “normalità”, ciò che conta in questa meta, in questa tappa del percorso, è essere liberi di essere ciò che vogliamo quando e come vogliamo, nel nostro e nell’altrui rispetto, nell’attesa di riuscire a vedere la vera natura della realtà.